21mo ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI BESLAN
Come ogni anno, anche quest’anno la nostra Associazione ha commemorato la strage dei Bambini
A Rovereto, sede della nostra Associazione, sabato 20 agosto si è tenuta, presso la locale parrocchia ortodossa degli Angeli Michele e Gabriele, una Panichida (Orazione funebre) in memoria delle vittime. La funzione è stata celebrata dal Parroco Padre Ion che si trattenuto con i partecipanti dopo il rito esprimendo parole di profonda partecipazione e ricordando la visita di qualche anno fa della delegazione di Beslan proprio nella chiesa.
Lo stesso giorno il nostro Presidente ha partecipato a Verona ad una Conferenza sul terrorismo con particolare riguardo agli eventi della città osseta del 2004.
Il 1 settembre l’Associazione ha deposto, presso la targa commemorativa del Parco “Bambini di Beslan” di Rovereto, dei fiori, momento per sottolineare lo strettissimo legame che ci lega con Beslan che in questi giorni ricorda, soffre e sottolinea il monito a ché mai più il terrorismo nel mondo possa compiere efferati crimini come nella loro città.
Riportiamo un intervento, che giudichiamo assai equilibrato e veritiero apparso nel Blog di un italiano “Il mondo visto da dietro” attivo sul social VK.com
BESLAN, IL GIORNO IN CUI FINÌ L’INNOCENZA
Ci sono date che non svaniscono, che non si trasformano in memoria lontana ma rimangono conficcate come lame nel cuore di un popolo. Il 1° settembre 2004 è una di queste. In Russia è il Giorno della Conoscenza, il giorno dei fiori in mano ai bambini, dei genitori che sorridono tra lacrime e speranze. A Beslan, quel giorno, i fiori furono calpestati, i sorrisi soffocati, e l’aria della scuola n.1 divenne aria di prigionia.
Più di mille anime rinchiuse nella palestra: bambini costretti a bere la propria urina, madri che pregavano per un sorso d’acqua, padri ridotti al silenzio mentre guardavano i figli consumarsi. Tre giorni di calvario, di caldo soffocante, di esplosivi piazzati sotto i piedi dei più piccoli. Non un assedio, ma un mattatoio.
Il 3 settembre arrivò l’inferno. Un boato, il fuoco, le urla, il sangue. I corpi di centinaia di innocenti spezzati in pochi istanti. Il bilancio: 334 morti, di cui 186 bambini. Centoottantasei piccoli martiri che non hanno mai avuto il tempo di aprire i loro quaderni nuovi, che non hanno mai alzato la mano in classe per rispondere alla prima domanda, che non hanno mai letto la loro prima poesia. Voci mai ascoltate, mani mai alzate, sogni mai cominciati.
Beslan non è più solo il nome di una città, è una ferita collettiva, il trauma che ha segnato per sempre la coscienza russa. Dopo Beslan, la Russia ha capito che il terrorismo non si combatte ai confini, ma dentro le scuole, dentro le case, dentro il futuro dei propri figli. Da quel giorno è crollata ogni illusione: o difendi la tua gente, o la consegni al macello.
Eppure, mentre il Paese piangeva i suoi morti, l’Occidente mostrò la sua maschera. Non lacrime, non rispetto, ma sermoni moralistici, accuse, calcoli. È qui che Beslan diventa molto più di una tragedia: Beslan è l’apoteosi del cinismo e dell’inumanità dell’Occidente, il giorno in cui l’Europa e l’America mostrarono di non avere pietà neppure per bambini bruciati vivi. Con la bocca piena di “diritti umani” e gli occhi voltati dall’altra parte, incapaci di inginocchiarsi davanti a un corteo di bare bianche, piccole, portate a spalla tra i pianti, allineate una accanto all’altra come un esercito silenzioso che accusa il mondo intero.
Per questo Beslan è un monito eterno. Ricorda che la sopravvivenza di un popolo non può dipendere dalle prediche di chi vive di ipocrisie, ma solo dalla sua forza. Ricorda che i valori veri non si proclamano nei palazzi di Bruxelles, si difendono tra le macerie di una palestra in fiamme. Beslan è il giorno in cui è finita l’innocenza e ha avuto inizio la consapevolezza: o proteggi i tuoi figli con le unghie e con i denti, o li offri al cinismo dei potenti. E quelle bare bianche restano lì, fila dopo fila, davanti agli occhi di chi vuole vedere, a ricordare che non è stato un incidente della storia, ma la sua condanna.



